L'insieme degli anticorpi che noi ritroviamo nel siero, nelle secrezioni dell'organismo, rappresentano il prodotto di specifiche reazioni immunitarie.
Quando un qualcosa di estraneo al nostro organismo, ad esempio un agente eziologico riesce ad oltrepassare le difese innate, l'organismo risponde, producendo gli anticorpi che hanno lo scopo di reagire in maniera specifica, altamente specifica, con alcune componenti strutturali appartenenti al microrganismo e che ne hanno innescato la produzione.
Ciò a sua volta indurrà determinate azioni, che permetteranno all'organismo di eliminarlo, sempre se tutto va per il verso giusto si intende.
Se cimentiamo il siero di un animale (vertebrato) immune nei confronti di un determinato antigene, la reazione specifica tra l’anticorpo diretto nei confronti dell’antigene che ne ha evocato la formazione ,porterà ad un prodotto, costituito dall'interazione specifica tra l'anticorpo e l'antigene verso il quale è diretto; prodotto macromolecolare che in gergo immunobiologico viene definito immunocomplesso (antigene-anticorpo).
Noi possiamo sfruttare, nella pratica di laboratorio, questa caratteristica peculiare del sistema immunitario, possiamo sfruttare la sua specificità d’azione. La formazione di un immunocomplesso in vitro può essere accompagnata da fenomeni direttamente apprezzabili ad occhio nudo o può, a seconda dei casi, essere rilevato in maniera indiretta, mediante specifici artifici di laboratorio.
Nell'uno o nell'altro caso la formazione di un immunocomplesso può essere sfruttata a scopi diagnostici mediante specifiche reazioni sierologiche.
“Una reazione sierologica quindi è una reazione in cui un siero immune, o presunto tale, viene cimentato con un antigene e nella quale la formazione dell’immunocomplesso può essere individuata direttamente o indirettamente.”
I reagenti fondamentali quindi, se non lo si fosse capito, sono due, il siero immune (contenente anticorpi specifici) e l’antigene (verso il quale l’anticorpo è diretto in maniera specifica).
Nelle reazioni sierologiche uno dei due reagenti deve essere sempre noto. Ciò teoricamente, determina che le reazioni sierologiche siano tutte ambivalenti e cioè:
Il titolo anticorpale quindi lo definiremo come l'inverso della più bassa concentrazione (o della più alta diluizione) del siero del paziente che mantiene ancora attività rilevabile nei confronti di un antigene noto.
Di reazioni sierologiche ne abbiamo di vari tipi, in questo e in altri post vedremo alcune delle più comuni e famose.
Oggi vediamo brevemente un esempio di reazione sierologica di neutralizzazione.
Noi possiamo sfruttare, nella pratica di laboratorio, questa caratteristica peculiare del sistema immunitario, possiamo sfruttare la sua specificità d’azione. La formazione di un immunocomplesso in vitro può essere accompagnata da fenomeni direttamente apprezzabili ad occhio nudo o può, a seconda dei casi, essere rilevato in maniera indiretta, mediante specifici artifici di laboratorio.
Nell'uno o nell'altro caso la formazione di un immunocomplesso può essere sfruttata a scopi diagnostici mediante specifiche reazioni sierologiche.
“Una reazione sierologica quindi è una reazione in cui un siero immune, o presunto tale, viene cimentato con un antigene e nella quale la formazione dell’immunocomplesso può essere individuata direttamente o indirettamente.”
I reagenti fondamentali quindi, se non lo si fosse capito, sono due, il siero immune (contenente anticorpi specifici) e l’antigene (verso il quale l’anticorpo è diretto in maniera specifica).
Nelle reazioni sierologiche uno dei due reagenti deve essere sempre noto. Ciò teoricamente, determina che le reazioni sierologiche siano tutte ambivalenti e cioè:
- Disponendo di un siero immune noi possiamo dimostrare la presenza di uno specifico antigene in un determinato materiale di nostro interesse.
- Disponendo di uno specifico antigene, possiamo dimostrare in un siero di nostro interesse la presenza dell’anticorpo diretto nei suoi confronti.
Il titolo anticorpale quindi lo definiremo come l'inverso della più bassa concentrazione (o della più alta diluizione) del siero del paziente che mantiene ancora attività rilevabile nei confronti di un antigene noto.
Di reazioni sierologiche ne abbiamo di vari tipi, in questo e in altri post vedremo alcune delle più comuni e famose.
Oggi vediamo brevemente un esempio di reazione sierologica di neutralizzazione.
Gli antigeni possono essere dotati di attività biologica, in alcuni contesti, tali attività biologiche si rendono assolute protagoniste della patologia causata dal patogeno; un esempio è ampiamente rappresentato dalle esotossine batteriche (tossina difterica, tossina tetanica, botulinica, colerica ecc…) o ancora proteine presenti sulla superficie dei virus, come l’emoagglutinina (HA) del virus influenzale, fondamentali nell'interazione e nella penetrazione nelle cellule bersaglio.
Una delle funzioni degli anticorpi è quella di neutralizzare l’attività biologica di queste componenti antigeniche. Possiamo sfruttare in laboratorio questa loro caratteristica funzione.
“In una reazione di neutralizzazione quindi un siero immune o presunto tale viene cimentato con un antigene dotato di un’attività biologica e nella quale la formazione dell’immunocomplesso può essere individuata, dimostrando l’inattivazione dell’attività biologica dell’antigene.”
Reazione di inibizione dell’emoagglutinazione: alcuni virus sono dotati della multivalente capacità di legarsi ai globuli rossi e causarne l’agglutinazione tramite formazione di ponti tra le diverse emazie che vengono agglutinate tramite una modalità del tutto simile a quella che avviene nelle reazioni di agglutinazioni causate tra anticorpi e antigeni corpuscolati (cellule ad esempio).
Mettendo a contatto un siero immune, o presunto tale nei confronti di tali proteine virali, si può inibire la capacità di quest’ultimi di agglutinare le emazie, dimostrando la presenza degli anticorpi nel siero in esame.
La reazione viene in genere condotta in piastre di materiale plastico in cui ritroviamo dei pozzetti a fondo concavo, anche in questo caso nei diversi pozzetti vengono allestite diluizioni scalari del siero a cui vengono aggiunte quantità standard di antigene.
Si incuba il tutto, sempre alla temperatura e per il tempo necessario a favorire la formazione degli eventuali immunocomplessi, in seguito si aggiunge il sistema rivelatore, rappresentato dalle emazie.
L’inibizione dell’emoagglutinazione è facilmente rilevabile in quanto le emazie che subiscono l’agglutinazione, sedimentano ricoprendo tutta la base del pozzetto, mentre i globuli rossi non agglutinati sedimentano formando un piccolo puntino rosso al fondo del pozzetto.
Nell’immagine a lato possiamo vederne un esempio, abbiamo il siero di vari pazienti (dall’1 all’8).
Partendo da sinistra a destra, abbiamo le varie diluizioni, nelle ultime due file abbiamo pozzetti che indicano positività (Pos) e negatività (Neg) alla reazione di neutralizzazione in questione, in questi pozzetti sono stati aggiunti le varie componenti.
Nella fila di pozzetti positivi abbiamo aggiunto solo eritrociti, mentre nei pozzetti negativi abbiamo aggiunto sia eritrociti che antigeni emoagglutinanti.
Quindi ricordandoci la definizione di titolo anticorpale e applichiamola all'esempio mostrato, più alta è la diluizione del siero in cui verifichiamo l’attività di neutralizzazione dell’antigene, maggiore è la loro concentrazione, quindi maggiore la risposta immunitaria nei confronti dell’antigene.
Una delle funzioni degli anticorpi è quella di neutralizzare l’attività biologica di queste componenti antigeniche. Possiamo sfruttare in laboratorio questa loro caratteristica funzione.
“In una reazione di neutralizzazione quindi un siero immune o presunto tale viene cimentato con un antigene dotato di un’attività biologica e nella quale la formazione dell’immunocomplesso può essere individuata, dimostrando l’inattivazione dell’attività biologica dell’antigene.”
Reazione di inibizione dell’emoagglutinazione: alcuni virus sono dotati della multivalente capacità di legarsi ai globuli rossi e causarne l’agglutinazione tramite formazione di ponti tra le diverse emazie che vengono agglutinate tramite una modalità del tutto simile a quella che avviene nelle reazioni di agglutinazioni causate tra anticorpi e antigeni corpuscolati (cellule ad esempio).
Mettendo a contatto un siero immune, o presunto tale nei confronti di tali proteine virali, si può inibire la capacità di quest’ultimi di agglutinare le emazie, dimostrando la presenza degli anticorpi nel siero in esame.
La reazione viene in genere condotta in piastre di materiale plastico in cui ritroviamo dei pozzetti a fondo concavo, anche in questo caso nei diversi pozzetti vengono allestite diluizioni scalari del siero a cui vengono aggiunte quantità standard di antigene.
Si incuba il tutto, sempre alla temperatura e per il tempo necessario a favorire la formazione degli eventuali immunocomplessi, in seguito si aggiunge il sistema rivelatore, rappresentato dalle emazie.
L’inibizione dell’emoagglutinazione è facilmente rilevabile in quanto le emazie che subiscono l’agglutinazione, sedimentano ricoprendo tutta la base del pozzetto, mentre i globuli rossi non agglutinati sedimentano formando un piccolo puntino rosso al fondo del pozzetto.
Nell’immagine a lato possiamo vederne un esempio, abbiamo il siero di vari pazienti (dall’1 all’8).
Partendo da sinistra a destra, abbiamo le varie diluizioni, nelle ultime due file abbiamo pozzetti che indicano positività (Pos) e negatività (Neg) alla reazione di neutralizzazione in questione, in questi pozzetti sono stati aggiunti le varie componenti.
Nella fila di pozzetti positivi abbiamo aggiunto solo eritrociti, mentre nei pozzetti negativi abbiamo aggiunto sia eritrociti che antigeni emoagglutinanti.
Quindi ricordandoci la definizione di titolo anticorpale e applichiamola all'esempio mostrato, più alta è la diluizione del siero in cui verifichiamo l’attività di neutralizzazione dell’antigene, maggiore è la loro concentrazione, quindi maggiore la risposta immunitaria nei confronti dell’antigene.
La neutralizzazione (TAS: titolo anti-streptolisinico): un altro esempio di reazione sierologica di neutralizzazione è rappresentata dall’inibizione della tossina streptolisina prodotta dallo streptococco beta emolitico di gruppo A. La streptolisina ha la capacità di lisare gli eritrociti. Si preleva il siero del paziente, si inattiva il complemento. Vengono effettuate sempre diluizioni scalari del siero a cui viene aggiunta una quantità standard di antigene. Si attende sempre il tempo necessario a far avvenire la formazione dell’immunocomplesso per poi aggiungere un sistema rivelatore degli eritrociti. Se vi sono anticorpi nel siero questi interagendo con l’antigene inibiranno la sua funzione, e il sistema rivelatore non sarà lisato, altrimenti al contrario noteremo la lisi, segno che nel siero non vi erano anticorpi diretti contro l'antigene.
Come mostrato nell’immagine a lato, si scomplementa il siero del paziente, in questo modo evitiamo che il complemento interferisca, si eseguono diluizioni partendo da 1/100, si aggiunge la quantità fissa di antigene (1u streptolisina nell’esempio) si attende il tempo necessario affinché avvenga la reazione, si aggiunge la sospensione di eritrociti di coniglio, il nostro sistema rivelatore e si attende anche in questo caso il tempo necessario. In questo caso il titolo anticorpale è a 1/400. Il risultato lo possiamo esprimere in termini di diluizione (1/400) oppure in termini di unità streptolisinica. Se indichiamo come 1 unità streptolisinica la quantità minima di streptolisina ancora in grado di causare lisi, nella diluizione 1/400 abbiamo almeno 1 unità antistreptolisinica, quindi significa che nel siero originale vi erano almeno 400 unità antistreptolisiniche.
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