giovedì 16 aprile 2020

LE REAZIONI SIEROLOGICHE: la reazione di fissazione del complemento


L'insieme degli anticorpi che noi ritroviamo nel siero, nelle secrezioni dell'organismo, rappresentano il prodotto di specifiche reazioni immunitarie. Quando un qualcosa di estraneo al nostro organismo, ad esempio un agente eziologico riesce ad oltrepassare le difese innate, l'organismo risponde, producendo gli anticorpi che hanno lo scopo di reagire in maniera specifica, altamente specifica, con alcune componenti strutturali appartenenti al microrganismo e che ne hanno innescato la produzione. Ciò a sua volta indurrà determinate azioni, che permetteranno all'organismo di eliminarlo, sempre se tutto va per il verso giusto si intende.

Se cimentiamo il siero di un animale (vertebrato) immune nei confronti di un determinato antigene, la reazione specifica tra l’anticorpo diretto nei confronti dell’antigene che ne ha evocato la formazione porterà ad un prodotto, costituito dall'interazione specifica tra l'anticorpo e l'antigene verso il quale è diretto; prodotto macromolecolare che in gergo immunobiologico viene definito immunocomplesso (antigene-anticorpo).
Noi possiamo sfruttare, nella pratica di laboratorio, questa caratteristica peculiare del sistema immunitario, possiamo sfruttare la sua specificità d’azione. La formazione di un immunocomplesso in vitro può essere accompagnata da fenomeni direttamente apprezzabili ad occhio nudo o può, a seconda dei casi, essere rilevato in maniera indiretta, mediante specifici artifici di laboratorio. 

Nell’uno o nell’altro caso la formazione di un immunocomplesso può essere sfruttato a scopi diagnostici mediante specifiche reazioni sierologiche.
“Una reazione sierologica quindi è una reazione in cui un siero immune, o presunto tale, viene cimentato con un antigene e nella quale la formazione dell’immunocomplesso può essere individuata direttamente o indirettamente.”
I reagenti fondamentali quindi, se non lo si fosse capito, sono due, il siero immune (contenente anticorpi specifici) e l’antigene (verso il quale l’anticorpo è diretto in maniera specifica).
Nelle reazioni sierologiche uno dei due reagenti deve essere sempre noto. Ciò teoricamente, determina che le reazioni sierologiche siano tutte ambivalenti e cioè:
  • Disponendo di un siero immune noi possiamo dimostrare la presenza di uno specifico antigene in un determinato materiale di nostro interesse. 
  • Disponendo di uno specifico antigene, possiamo dimostrare in un siero di nostro interesse la presenza dell’anticorpo diretto nei suoi confronti. 
Quando si eseguono reazioni sierologiche come vedremo, si è soliti usare delle tecniche semiquantitative. Il loro scopo è quello di permetterci di titolare una quantità relativa di anticorpi presenti in un siero o di antigene presente in un determinato materiale. Per farlo è buona norma cimentare delle diluizioni progressivamente crescenti del reagente in esame con quantità fisse, costanti, del reagente noto. Un esempio è il titolo anticorpale. Preleviamo il siero del paziente, lo trattiamo adeguatamente a seconda della metodica che andremo ad eseguire, allestiamo varie diluizioni di tale siero (1:100-1:200-1:400 ecc..) e poi andremo a verificare a quale diluizione osserviamo ancora la risposta immunitaria.
Il titolo anticorpale quindi lo definiremo come l'inverso della più bassa concentrazione (o della più alta diluizione) del siero del paziente che mantiene ancora attività rilevabile nei confronti di un antigene noto. 
Di reazioni sierologiche ne abbiamo di vari tipi, in questo e in altri post vedremo alcune delle più comuni e famose: 

Reazione di fissazione del complemento. 
Ricordiamoci sempre che le reazioni sierologiche sfruttano la specificità d'interazione tra un anticorpo e l'antigene verso il quale tale anticorpo è diretto in maniera altamente specifica; poco prima abbiamo detto che la formazione dell'immunocomplesso (anticorpo+ antigene) può essere evidenziabile direttamente attraverso reazioni o fenomeni visibili ad occhio nudo o essere individuata e quindi dimostrata indirettamente, attraverso alcuni artifici di laboratorio.
Infatti in alcuni contesti non è possibile evidenziare direttamente l’avvenuta formazione dell’immunocomplesso, quindi si deve ricorrere ad altri stratagemmi, uno di questi è la reazione di fissazione del complemento, grazie alla quale si può dimostrare indirettamente l’avvenuta formazione dell’immunocomplesso.
Il complemento, molto brevemente, è un complesso sistema di molecole, fattori e componenti proteiche presenti nel siero dei vertebrati, che viene attivato letteralmente a cascata quando gli anticorpi si legano ad un antigene. Qualora tale antigene, sia rappresentato da un elemento cellulare, le componenti del complemento sono in grado di indurre sulla superficie della cellula estranea, qualora l'antigene sia costituito da un elemento corpuscolato, quindi una cellula, legata dall’anticorpo, la formazione di veri e propri pori che determineranno la morte della cellula estranea per lisi cellulare. Sia chiaro, il complemento non si attiva solo ed esclusivamente in presenza di anticorpi ma è un qualcosa che vedremo nei prossimi post. Ritornando al nostro discorso, noi possiamo in laboratorio sfruttare la capacità del complemento di fissarsi e quindi di consumarsi attraverso il legame ad un immunocomplesso.
Questa reazione sierologica ci permetterà di andare alla ricerca di immunocomplessi, anticorpi diretti contro specifici antigeni macromolecolari solubili, che per vari motivi non è possibile evidenziare in altri tipi di reazioni sierologiche, come le reazioni di agglutinazione, emoagglutinazione passiva ecc…e in cui l’avvenuta formazione dell’immunocomplesso non può essere rilevata direttamente.
Reagenti fondamentali in una reazione di fissazione del complemento sono quindi:
  • L'antigene.
  • L’anticorpo diretto in maniera specifica nei suoi confronti.
  • Il complemento che dovrà legarsi all’immunocomplesso (antigene-anticorpo) di nostro interesse.
  • Il sistema rivelatore, costituito da cellule di cui sia facile apprezzare la lisi cellulare (es.globuli rossi) e anticorpi diretti in maniera specifica contro di essi.
La presenza del sistema rivelatore è fondamentale, ci aiuta a capire se l’immunocomplesso si è formato e se quindi nel siero in esame erano presenti oppure no l’anticorpo o l’antigene di nostro interesse. Infatti se tale immunocomplesso si sarà formato, il complemento aggiunto a tale siero si fisserà completamente ad esso e non sarà disponibile a legarsi con il secondo immunocomplesso (rivelatore). La mancata lisi del sistema rivelatore darà esito positivo, se osserveremo la lisi del sistema rivelatore l’esito sarà negativo. Significa che nel siero non vi erano presenti anticorpi diretti contro l’antigene e il complemento non si era fissato ad alcun immunocomplesso.
Una reazione di fissazione del complemento è quindi una reazione sierologica in cui: un siero immune o presunto tale, viene cimentato con un antigene in presenza di concentrazioni note e piccole di complemento e in cui la formazione dell’immunocomplesso può essere evidenziata dimostrando l’avvenuta fissazione del complemento all’immunocomplesso.”

La reazione è più facile da eseguire che da spiegare. Possiamo suddividerla in vari stadi.

Come primo passo bisogna eliminare il complemento dal siero di nostro interesse, è presente in quantità a noi ignota, potrebbe reagire non solo con l’immunocomplesso che a noi interessa rilevare ma anche con l’immunocomplesso rivelatore lisandolo, ciò non potrebbe che inficiare il responso dell’indagine. Per eliminare il complemento bisogna denaturare le sue componenti proteiche, il trattamento termico del siero in esame rappresenta il trattamento elitario da questo punto di vista. In genere il siero viene sottoposto a temperature di circa 56°C per 30 minuti. Gli anticorpi a questa temperatura non vengono denaturati e la loro struttura e di conseguenza la loro funzionalità non viene compromessa.

Si eseguono delle diluizioni scalari del siero a cui viene aggiunta una quantità fissa di antigene e a ciascuna miscela viene aggiunta una quantità di siero fresco di cavia di cui si era titolata l’attività complementare. 
Il complemento aggiunto sarà presente in un quantitativo limitato. Le miscele vengono incubate per un tempo sufficiente a permettere che le componenti presenti reagiscano adeguatamente, portando alla formazione dell’immunocomplesso di nostro interesse e di conseguenza, se questo si è formato, alla fissazione del complemento.
Trascorso questo periodo di tempo dobbiamo accertarci che si sia formato l’immunocomplesso e la fissazione del complemento; per farlo utilizziamo il sistema rivelatore costituito da emazie (di cui è facile apprezzare la lisi) e gli anticorpi diretti contro tali emazie. Si aggiunge ad ogni miscela una quantità standard di emazie di pecora trattate con il rispettivo antisiero (la cosiddetta miscela emolitica) si incuba a temperatura e tempo adeguate (37°C per 20-30 minuti).
 Se il primo immunocomplesso si è formato il complemento avrà reagito tutto legandosi ad esso e non sarà disponibile a reagire con il sistema rivelatore, altrimenti in caso contrario sarà ancora libero e liserà le emazie dando esito negativo.
 La reazione di fissazione del complemento può mostrare una minore sensibilità rispetto ad altre reazioni di tipo sierologico, come ad esempio le reazioni di emoagglutinazione passiva. Non dimentichiamoci inoltre che gli anticorpi, in particolar modo anche gli anticorpi di classe IgM sono particolarmente efficaci nello stimolare l’attivazione del complemento. Dal momento che tali classi anticorpali sono prodotte proprio nelle prime fasi di un’infezione, spesso i titoli anticorpali più elevati, dimostrabili con la fissazione del complemento, sono quelli che si osservano nei campioni di siero prelevati durante le prime fasi di un’infezione dove le IgM sono presenti in concentrazioni maggiori.

giovedì 9 aprile 2020

COVID-19: trasmesso attraverso l'aria? Facciamo chiarezza su questo punto.


Molte infezioni respiratorie possono essere trasmesse attraverso goccioline di saliva di dimensioni diverse: quando queste gioccioline hanno un diametro maggiore di 5-10 μm, vengono chiamate goccioline respiratorie o di Pflugge, mentre quando hanno un diametro inferiore a 5μm, vengono chiamate droplet nuclei. [1] 
Secondo quanto sappiamo il virus che casua il COVID-19 viene trasmesso principalmente tra le persone attraverso le goccioline respiratorie e contaminazione tramite fomiti. [2-7] In un'analisi di 75.465 casi di COVID-19 in Cina, la trasmissione aerea non è stata segnalata.[8]
Le goccioline del Pflugge vengono trasmesse in modo efficace tra persone a distanza ravvicinata (entro 1 m) attraverso colpi di tosse e starnuti, ciò fa si che gli individui suscettibili ad essere contagiati, perchè non immuni, abbiano buone probabilità che le loro mucose (bocca e naso) o congiuntiva (occhi) esposte, possano essere potenzialmente contaminate, contagiando l'individuo.
Come accennato qualche rigo sopra la trasmissione può anche avvenire attraverso fomiti nell'ambiente circostante intorno alla persona infetta quindi contaminazione di superfici. Una caratteristica tipica di vari virus con questo tipo di trasmissione [8]. Pertanto, la trasmissione del COVID-19 può avvenire per contatto diretto con persone infette e contatto indiretto con superfici o con oggetti usati sulla persona infetta.

La trasmissione aerea, tramite goccioline di diametro inferiore ai 5 micrometri è diversa dalla trasmissione delle goccioline di Pflugge, poiché si riferisce alla presenza di microbi all'interno di tali goccioline, che possono rimanere nell'aria per lunghi periodi di tempo ed essere trasmessi ad altre persone attraverso distanze maggiori di 1m.

Perchè potrebbe preoccupare questo tipo di trasmissione?
Gli aerosol possono essere prodotti anche parlando e respirando, il che potrebbe persino costituire un rischio maggiore nella trasmissione della patologia rispetto allo starnuto e alla tosse. E' più facile stare alla larga da chi tossisce, lo sentiamo e vediamo, ma se la trasmissione avenisse anche attraverso gli aerosoli le cose si complicherebbero notevolmente perchè non basterebbe mantenere la distanza di sicurezza indicata per minimizzare il rischio di contagio.
Ci sono studi che hanno verificato che persone ammalate di influenza (un buon 39% come rivelato dallo studio)  espiravano aerosoli veicolanti il patogeno [22]. Finché condividiamo uno spazio aereo con qualcun altro, abbiamo stretti contatti, respirando l'aria che essi espirano, è possibile la trasmissione del patogeno nel caso dell'influenza, proprio tali aereosoli tendono a diffondersi a distanze più considerevoli e a penetrare con molta più facilità in profondità nelle nostre vie aeree.

Cosa sappiamo a riguardo della trasmissione aerea del COVID-19?
Il patogeno come accennato prima lo conosciamo da pochi mesi, qualche studio sembra sottolineare questa eventualità della trasmissione aerea o comunque sottolineare la necessità di effettuare ulteriori studi a riguardo, altri ancora sembrano escluderla. 
Gli studi sono ancora pochi per poter determinare se un tale tipo di trasmissione possa in effetti giocare un ruolo ulteriore nella propagazione del patogeno oltre all'appurata trasmissione attraverso le goccioline di saliva.
Al culmine dell'epidemia di coronavirus a Wuhan, in Cina, il virologo Ke Lan dell'Università di Wuhan ha raccolto campioni di aerosol negli ospedali e negli ambienti ad essi confinanti dove venivano curate persone affette COVID-19, così come negli affollati ingressi di due grandi magazzini.[20], Lan e collaboratori riferiscono di aver trovato RNA virale da SARS-CoV-2 in tali ambienti.
Attenzione però, lo studio non verifica se gli aerosol raccolti fossero in grado di infettare le cellule.  
L'autore con lo studio ha comunque verificato che durante la respirazione o il parlare, la trasmissione di aerosol contenenti il virus SARS-CoV-2 può verificarsi e quindi potrebbe avere un impatto sulle persone vicine e lontane dalla sorgente di infezione. 

Uno studio simile condotto da ricercatori ha rilevato presenza di RNA virale in quasi due terzi dei campioni di aria raccolti in stanze di isolamento provenienti da un'ospedale per il trattamento di persone affette da sintomatologie gravi da COVID-19 e in una struttura di quarantena che ospita individui con infezioni lievi [21]. Anche in questo contesto le superfici nelle griglie di ventilazione sono risultate positive ma nessuno dei campioni di aria raccolti però è risultato contagioso nelle colture cellulari, inoltre i dati dello studio suggeriscono che le particelle di aerosol contenenti il virus sono prodotte da individui che hanno la malattia COVID-19, anche in assenza di tosse.
Nel contesto del COVID-19, la trasmissione aerea potrebbe essere possibile in circostanze e contesti specifici quindi, in cui vengono eseguite procedure o trattamenti di supporto che generano aerosoli di tali dimensoni; ovvero intubazione endotracheale, broncoscopia, aspirazione aperta, ventilazione manuale prima dell'intubazione, rotazione del paziente in posizione prona, disconnessione del paziente dal ventilatore, ventilazione a pressione positiva non invasiva, tracheostomia e rianimazione cardiopolmonare ecc..

Inoltre vi sono prove che l'infezione da COVID-19 può portare a infezione intestinale e di conseguenza il patogeno può essere rilevato anche nelle feci. Ma ad oggi non ci sono dati che possano far pensare anche ad una trasmissione del patogeno per circuitazione oro-fecale.

Quindi ad oggi, alcune pubblicazioni scientifiche forniscono delle prove che il virus Sars-CoV-2 possa essere rilevato nell'aria, ovviamente molte testate giornalistiche subito hanno lasciato intendere che la trasmissione possa avvenire probabilmente per via aerea.

Ma attenzione! Questi risultati iniziali devono essere interpretati attentamente.

Tra gli studi più famosi citati a riguardo abbiamo una recente pubblicazione sul New England Journal of Medicine  che ha valutato la persistenza del virus del virus  negli aereosoli.[10]
In questo studio sperimentale, gli aerosol sono stati generati utilizzando un nebulizzatore Collison a tre getti e immessi in un tamburo Goldberg in condizioni di laboratorio controllate. Descrizioni tecniche a parte, in soldoni si tratta di macchinari ad alta potenza che non riflettono le normali condizioni di tosse umana. Inoltre, la scoperta del virus in particelle di aerosol fino a 3 ore non riflette un'impostazione clinica in cui vengono eseguite le procedure di generazione di aerosol, ovvero questa era una procedura di generazione di aerosol indotta sperimentalmente.

Ci sono anche studi in cui si è osservato che in campioni d'aria prelevati da aree dove erano presenti  pazienti sintomatici da COVID-19 non mostravano rilevante presenza di RNA virale da Sars-CoV-2. [11-12]

Insomma, sia chiaro, nessuno esclude, ma per ora prove notevoli a riguardo ancora non ci sono, stiamo pur sempre parlando di un patogeno che conosciamo si e no da quattro mesi, ci sarà ancora molto da studiare a riguardo e quindi non bisogna arrivare a conclusioni affrettate, ne tantomento sminuire. Man mano che emergeranno nuove prove, sarà importante sapere se viene trovato il virus vitale negli areosoli, in quali condizioni e concentrazioni; comprendere se il ruolo che la carica virale presente avrà nella trasmissione della patologia. Se sarà rilevante o meno.  

Sulla base delle prove disponibili, comprese le più recenti pubblicazioni, l'OMS continua a raccomandare quindi il distanziamento sociale e le protezioni individuali per prevenire sicuramente l'entrata in contatto con le goccioline di Pflugge che veicolano il patogeno. In quanto è assolutamente certo che attraverso questa modalità il virus si trasmetta e laddove possibile applicare a prescindere procedure volte a minimizzare la generazione di aerosol nei trattamenti di supporto in coerenza con quanto stabilito dalle linee guida nazionali e internazionali, comprese quelle sviluppate dalla Società Europea di Medicina Intensiva Society of Critical Care Medicine [13-14] e quelli attualmente utilizzati in Australia, Canada e Regno Unito.[15-1]

Anche se dobbiamo sottolineare come la distinzione tra goccioline e aerosol è un po'inutile perché le particelle che escono con il virus possono avere una vasta gamma di dimensioni. Da molto grandi fino agli aerosol, quindi non abbiamo una distinzione nettissima o un momento particolare in cui vengono prodotte particelle di dimensioni nettamente diverse. Per ora fatto sta che gli studi e le conclusioni a riguardo sono ancora deboli.
Quindi sarà da valutare se il SARS-CoV-2 si stia trasmettendo con gli aerosol, o se sia possibile che le particelle di virus possano accumularsi nel tempo in spazi chiusi e essere trasmesse su distanze maggiori.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha quindi dichiarato che per il momento non ci sono prove sufficienti per suggerire che il virus SARS-CoV-2 sia sospeso nell'aria.

In conclusione: Quando si afferma che non ci sono prove sufficienti per affermare che il Sars-CoV-2 sia disperso nell'aria, significa in modo specifico che per ora non ci sono prove sufficienti a dire che il virus sia trasportato efficacemente dagli areosoli con diametro inferiore ai 5 micrometri i quali possono permanere nell'aria più tempo e viaggiare più a lungo rispetto alle goccioline di saliva, che sono più pesanti e che al massimo possono percorrere brevissime distanze  per poi cadere e adagiarsi sulle superfici.


Fonti: 

1)World Health Organization. Infection prevention and control of epidemic- and pandemic-prone acute respiratory infections in health care. Geneva: World Health Organization; 2014 Available from: https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/112656/9789241507134_eng.pdf?sequence=1

2)Liu J, Liao X, Qian S et al. Community transmission of severe acute respiratory syndrome coronavirus 2, Shenzhen, China, 2020. Emerg Infect Dis 2020 doi.org/10.3201/eid2606.200239

3)Chan J, Yuan S, Kok K et al. A familial cluster of pneumonia associated with the 2019 novel coronavirus indicating person-to-person transmission: a study of a family cluster. Lancet 2020 doi: 10.1016/S0140-6736(20)30154-9

4)Li Q, Guan X, Wu P, et al. Early transmission dynamics in Wuhan, China, of novel coronavirus-infected pneumonia. N Engl J Med 2020; doi:10.1056/NEJMoa2001316.

5) Huang C, Wang Y, Li X, et al. Clinical features of patients infected with 2019 novel coronavirus in Wuhan, China. Lancet 2020; 395: 497–506. 

6)Burke RM, Midgley CM, Dratch A, Fenstersheib M, Haupt T, Holshue M,et al. Active monitoring of persons exposed to patients with confirmed COVID-19 — United States, January–February 2020. MMWR Morb Mortal Wkly Rep. 2020 doi : 10.15585/mmwr.mm6909e1external icon

7)World Health Organization. Report of the WHO-China Joint Mission on Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) 16-24 February 2020 [Internet]. Geneva: World Health Organization; 2020 Available from: https://www.who.int/docs/default- source/coronaviruse/who-china-joint-mission-on-covid-19-final-report.pdf

8)Ong SW, Tan YK, Chia PY, Lee TH, Ng OT, Wong MS, et al. Air, surface environmental, and personal protective equipment contamination by severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) from a symptomatic patient. JAMA. 2020 Mar 4 [Epub ahead of print].

9)Zhang Y, Chen C, Zhu S et al. [Isolation of 2019-nCoV from a stool specimen of a laboratory-confirmed case of the coronavirus disease 2019 (COVID-19)]. China CDC Weekly. 2020;2(8):123–4. (In Chinese)

10)van Doremalen N, Morris D, Bushmaker T et al. Aerosol and Surface Stability of SARS-CoV-2 as compared with SARS-CoV-1. New Engl J Med 2020 doi: 10.1056/NEJMc2004973

11)Cheng V, Wong S-C, Chen J, Yip C, Chuang V, Tsang O, et al. Escalating infection control response to the rapidly evolving epidemiology of the Coronavirus disease 2019 (COVID-19) due to SARS-CoV-2 in Hong Kong. Infect Control Hosp Epidemiol. 2020 Mar 5 [Epub ahead of print]. 

12)Ong SW, Tan YK, Chia PY, Lee TH, Ng OT, Wong MS, et al. Air, surface environmental, and personal protective equipment contamination by severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) from a symptomatic patient. JAMA. 2020

13)WHO Infection Prevention and Control Guidance for COVID-19 available at https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/technical-guidance/infection-prevention-and-control

14)Surviving Sepsis Campaign: Guidelines on the Management of Critically Ill Adults with Coronavirus Disease 2019 (COVID-19). Intensive Care Medicine DOI: 10.1007/s00134-020-06022-5 https://www.sccm.org/SurvivingSepsisCampaign/Guidelines/COVID-19 

15)Interim guidelines for the clinical management of COVID-19 in adults Australasian Society for Infectious Diseases Limited (ASID)  https://www.asid.net.au/documents/item/1873

16)Coronavirus disease (COVID-19): For health professionals. https://www.canada.ca/en/public-health/services/diseases/2019-novel-coronavirus-infection/health-professionals.html

17)Guidance on infection prevention and control for COVID-19 https://www.gov.uk/government/publications/wuhan-novel-coronavirus-infection-prevention-and-control

18)Interim Infection Prevention and Control Recommendations for Patients with Suspected or Confirmed Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) in Healthcare Settings. https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/infection-control/control-recommendations.html 

19)Infection prevention and control for COVID-19 in healthcare settings https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/infection-prevention-and-control-covid-19-healthcare-settings 

20) Santarpia, J. L. et al. Preprint at medRxiv http://doi.org/dqtw (2020).

21) Liu, Y. et al. Preprint at bioRxiv http://doi.org/dqts (2020).

22)Yan, J. et al. Proc. Natl Acad. Sci. USA 115, 1081–1086 (2018).